Energia, rapidità, dolore, erotismo
magico.
Angoli durissimi che a volte si aprono
alla morbidezza, a volte si chiudono spigolosamente.
Volti aguzzi, molto verticali,
travolti da qualche demone o angelo inferiore che non tace mai.
Volti androgini, di colpo flessuosi,
sognatori, continuamente sdoppiati o raddoppiati, intrecciati e incastrati
tra loro senza riposo. Figure umane contratte, occhi mani bocche senza
volume, sospese nella dimensione di una superficie lineare che scorre di
getto sul bianco, soprattutto nei disegni a china. Il ritorno di uno sguardo
chiaro in tutti i volti palesi o nascosti, uno sguardo che ha la dolcezza,
la trasparenza, l’ostinazione crudele di certi sguardi dell’infanzia.
Il bianconero è grafica sinuosa,
precisa nel produrre effetti di scompostezza perfettamente organizzata. I
pastelli e gli oli grondano colore da tutti i pori: anche loro rifiutano le
densità dell’impasto, la massa e il volume, in favore di una materia
sezionata, uno strato sottile, qualcosa di aereo e beffardo che predilige il
blu cobalto, il giallo e il rosso con i loro toni più euforici e le loro
asprezze. A volte questi colori espliciti sono raggelati sullo sfondo quando
l’essere umano non c’è, il che succede raramente.
Guy de Jong aggredisce l’idea di
figura umana senza dissolverla, evocando primitivissimi, pizzicotti
picassiani e modiglianeschi, qualche ambiguità profumata alla Klimt e
qualche angolosità alla Schiele, i colori di Utrillo e Van Gogh, certi
impennamenti matissiani nell’aria e improvvisi ritmi fiabeschi alla Chagall.
L’ossessione della linea pura domina su tutto come un ago che s’ingrossa o
si restringe velocemente, attenua gli urli e le smorfie dei volti, cerca e
ottiene una pausa gentile della memoria in quegli occhi fin troppo aperti.
L’amore per la linea permette soluzione giocose, piccoli trompe l’oeil,
divertimenti esili e panciuti, spesso con effetti di vortice. Interrompe
l’affanno della combinazioni troppo dense sul piano cromatico, distende i
colori e gli angoli, martella una vocazione incisoria costante.
A Guy interessano tutte le possibili
tecniche espressive: lavora su tutti i tipi di carta e di tela, su rame, su
legno, su specchio, modella vasi, scolpisce, è attratto da tutte le
superfici scrivibili. C’è sempre in questa pittura incisoria un bozzolo
narrativo: una situazione mentale, un caso fortuito, un’illustrazione a
tema, una creatura presa per il collo perché gridi o smetta di gridare. Una
strana quiete si apre la strada ogni tanto in mezzo a poche linee
intrecciate: l’impronta di un sentimento molto forte che sa stare
sottinteso; la speranza di un tempo buono, il tempo segreto della mente, si
adagia nelle curve dello spazio.
Ci sono nervi molto accavallati tra
loro che guardati una seconda volta si allungano come quando la tensione
trova sbocco e indulgenza. La durata di queste linee-figure non è omogenea
per chi guarda. I profili efebici disegnati da Guy tra piccoli e grandi
triangoli incassati tra loro, le figure spezzate, le colate fluide di colore
mescolate ad una stilizzazione formale caparbia tipica dell’incisore, fanno
durare l’emozione brevi attimi duri oppure la prolungano nella grazia del
segno grafico. A volte strizzano l’occhio alla piacevolezza malinconica. Chi
conosce Guy e lo cerca nei suoi lavori (com’è inevitabile), sente
soprattutto l’ansia di attraversare il tempo come spazio aperto, un bisogno
di raccontarsi molto immediato, la necessità di dialogare con gli altri
dipingendo davanti a loro, semplicemente. Nella persona e nelle tele di Guy
c’è l’impossibilità di distinte le sensazioni e le forme, come in tutti
coloro che mantengono finché vivono lo stupore intuitivo dei bambini e lo
trasformano in vitalismo. Solitudine espansiva.
In ogni dipinto di Guy c’è la passione
in agguato. La pittura come esperienza amorosa in presa diretta. La voglia
di ricominciare da capo ogni giorno. Chi passa al bar del Teatro è invitato
senza neanche saperlo a trasformare le molte cose di Guy (tele,chine, vasi,
incisioni) in un senso felice per la sua giornata.
Felice anche quando l’occhio incontra
nodi di dolore e li guarda vivere davanti a sé. Se la mano di Guy li rende
visibili, i dolori e le paure diventano percezioni esplosive che invitano a
vivere.
Prof.ssa Filosofia
Università di Pavia
Flavia Ravazzoli